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05/05/2012 IN VIAGGIO TRA MESCHINITA' E IPOCRISIA
Parte Prima
Vi è mai capitato, alla notizia di uno stupro subito da una donna, di ascoltare commenti del tipo: ”Si, però anche lei, andare in giro a quell’ora…da sola, poi, in quella zona” seguito dall’immancabile “Poi avete visto in che maniera se ne andava in giro vestita…”, per concludere con un pontificatorio “Beh, un po’ se l’è pure cercata” a cui magari fanno da corollario i cenni di assenso dei presenti. Sono discorsi che si possono sentire su un autobus o alla fermata mentre si aspetta il tram, oppure in un bar. A me è capitato. Inesorabilmente colei che ha subito lo stupro passa dalla condizione di vittima di un delitto orrendo al ruolo di complice del delitto stesso (che lei ha subito!) per finire poi addirittura sul banco degli imputati del becero sentire comune (Provocatrice!!!). Lo so, è un esempio un po’ forte, magari eccessivo nella sua semplificazione; però esprime bene quello che mi pare stia succedendo a Giuliana Sgrena dopo il suo ritorno dall’Iraq. Dopo i primi momenti di gioia collettiva seguiti alla sua liberazione e la corsa ad accaparrarsi la dichiarazione più a effetto sui giornali e sulle televisioni (”Sono contento/a per Giuliana…”, “Tiriamo tutti un grosso sospiro di sollievo…” con quel “Giuliana” che ostentava un’intimità che credo la Sgrena non abbia nessuna voglia di avere) sono cominciati i primi “Mah..” e i primi “Se..”, caratteristici di ogni vicenda italiana. Opinionisti più o meno autorevoli, intellettuali più o meno intellettuali, semplici cittadini, più o meno semplici (o forse sempliciotti) si sono uniti al coro della dietrologia più…meschina: “Ma cosa ci faceva la Sgrena in Iraq? Non lo sapeva che era pericoloso?”; “Il rapimento è colpa sua. Si è andata a cacciare lei nei guai e poi l’hanno dovuta tirare fuori gli altri…”; “Perché spendere i soldi dei contribuenti per salvare una persona che se l’è andata a cercare e per di più parteggia per i rapitori?”; “La morte di Calipari è colpa della Sgrena che si è andata a cacciare nei guai”. Alla fine di questa Via Crucis mediatica Giuliana Sgrena si ritrova da vittima di un rapimento, prima in complice dei suoi rapitori, per finire, poi, sul banco degli imputati come responsabile della morte di Nicola Calipari. Qualcuno è arrivato ad affermare la Sgrena ci avrebbe fatto una miglior figura a morire!!! Abbandoniamo per pochi minuti la fretta di voler dire a tutti i costi qualcosa, anche se non si ha nulla da dire; lasciamo da parte la cattiveria, la crudeltà e il cinismo che evidentemente la tastiera di un computer riescono a infondere in insigni commentatori e in semplici parvenu della scrittura e cerchiamo di riflettere insieme su quello che è successo, su quelli che sono i fatti che conosciamo. Giuliana Sgrena è una giornalista, lavora per il “Manifesto”. Ha e ha sempre avuto un posizione ben chiara su ciò che sta succedendo in Iraq. La medesima posizione è condivisa dal giornale per cui lavora. Nulla di strano, nulla di nascosto. Tutto alla luce del sole. Le sue posizioni possono essere condivisibili e condivise oppure no. In una democrazia moderna, in uno Stato libero credo non possa esserci spazio per il reato di opinione (soprattutto dopo che viene consentito a certi esponenti della Lega, ministri dello Stato italiano, di esprimere tutto quello che a loro pare compreso “bruciamo il tricolore” e “chi non salta italiano è”). Giuliana Sgrena fa quello che qualunque giornalista serio dovrebbe fare: cerca di trovare e di diffondere informazioni. Soprattutto segue un criterio basilare (anche se non unico) della pratica giornalistica: cerca di trovare e di diffondere notizie di prima mano, sicure e attendibili il più possibile. Per fare questo deve recarsi sul luogo dove le notizie nascono: l’Iraq. I suoi reportage, le foto che scatta documentano il lato più crudele della guerra, la violenza che colpisce i deboli e gli indifesi, i civili, soprattutto donne e bambini. Il suo è un modo di raccontare la guerra sicuramente partigiano, non scevro da ideologie, ma, a mio parere onesto e coscienzioso. Ripeto, si può non essere d’accordo su quello che la Sgrena scrive, non si può negare che questa violenza esista e sia documentata. Chiaramente Giuliana Sgrena per portare a termine il suo lavoro deve correre dei rischi, non può accontentarsi di essere una semplice inviata al seguito delle truppe occidentali (i famosi giornalisti “embedded” che si muovono al seguito dei reparti militari e che di quei reparti sono un po’ prigionieri: se scrivono qualcosa di fuori posto si fa presto a dichiararli indesiderabili e a rispedirli a casa) che stazionano in Iraq, non può basarsi sulle notizie fornite nelle conferenze stampa allestite dal Pentagono. Il suo lavoro la porta a esporsi tanto, troppo: viene rapita. Lei stessa ammette di aver commesso un errore, di aver stazionato a lungo in una zona troppo pericolosa, dando tempo ai suoi rapitori di organizzarsi e di prelevarla. A questo punto, a sentire i nostri dietrologi del buonsenso, si sarebbe dovuta abbandonarla “Hai voluto andare in Iraq, ora paga” sembra di sentirli dire “Perché muoversi per una giornalista, comunista e antigovernativa”? Invece le nostre istituzione, mai troppo criticate, mai troppo vituperate, per una volta agiscono e lo fanno secondo le “regole” del sottobosco diplomatico e spionistico, regole che caratterizzano le trattative con gruppi terroristici. I nostri servizi segreti contattano i rapitori, sicuramente sono disposti a pagare e quasi sicuramente pagano. C’erano altre vie? Arrivati al punto in cui si era arrivati, con Giuliana Sgrena in mano ai terroristi, secondo me no. “Bisognava pensarci primi” urlano i dietrologi. Sono d’accordo: “Bisognava non iniziare la guerra in Iraq”. Questa è la prima cosa che non andava fatta. L’unico modo per liberare Giuliana Sgrena, cittadina italiana, giornalista catturata nell’adempimento delle sue funzioni di giornalista, era trattare. Lo dico ragionandoci, con fredda logica razionale perché se ragionassi con la pancia, con le viscere direi magari anch’io: “Mai trattare con dei rapitori!” Ma siamo uomini, dotati di raziocinio e di buon senso o bruti dominati dalla retorica e dall’intransigenza? La vita di Giuliana Sgrena può essere minimamente confrontata con i soldi dei contribuenti, con la dignità di una nazione che “mai deve venire a patti con i terroristi”? Veramente lasciare Giuliana Sgrena nelle mani dei suoi rapitori avrebbe ridato dignità alla nostra nazione? Davvero era così importante, in questa occasione, preservare i soldi dei contribuenti? Io non ci vedo niente di civile, di morale, di etico (ci aggiungo di cristiano, per chi è credente) nel preferire la morte di una persona e nell’accusarla di essere colpevole della tragica fine di un funzionario che si era impegnato a salvarla. Non si è rispettosi della verità, non si è rispettosi del tragico destino di Nicola Calipari che era un poliziotto impegnato in una missione rischiosa, molto rischiosa. Credo ne fosse consapevole e che fosse preparato ad affrontarla. Chi l’ha conosciuto ne parla come di un funzionario capace e umano (un binomio che non si incontra spesso) e quindi dobbiamo credere che abbia fatto tutto il possibile per favorire il buon andamento della missione, per proteggere l’incolumità di Giuliana Sgrena, la propria e quella dei suoi collaboratori. Se ci sono stati degli errori da parte sua, certo li ha pagati con il prezzo più alto. L’ho sentito definire eroe, servitore dello Stato. Credo che il modo migliore di rendere omaggio a quest’uomo sia po’ di silenzio (non quello suonato da una tromba militare all’aereoporto di Ciampino all’arrivo della bara avvolta nel tricolore), una preghiera e l’impegno perché non ci sia bisogno altri Calipari, di altri sacrifici in futuro… Proseguendo, va da sé che sono argomentazioni, quelle dei dietrologi della carta stampata e dei loro lettori, di una pochezza d’animo assoluta, di una cialtroneria senza ritegno, di una poltroneria mentale senza confini alimentata da anni e anni di televisione a base di quiz idioti e di film d’azione americani di serie D. Soprattutto alimentata da anni e anni di giornalismo senza rispetto per l’etica professionale, dove ogni cosa è buona per parlare, parlare, per nascondere, offuscare, inquinare senza mai informare. Anni di giornalismo impegnato non a cercare la notizia sul campo, ma a passare in rassegna i lanci di agenzia, tra un caffè e l’altro, tra una chiacchiera e l’altra, tra un appuntamento salottiero e l’altro. Vedo in molti articoli il desiderio non di commentare e di informare, al limite di esprimere un’opinione, ma il desiderio di screditare, di creare scandalo e di togliere in qualsiasi modo autorevolezza alla controparte. Questi sono i metodi che utilizzava il fascismo barricadiero dei primi anni Venti. È interessante leggere quello che scriveva Mussolini (che era un abilissimo giornalista e un abile capopopolo) sul Popolo d’Italia in quegli anni e soprattutto come lo scriveva: la sua capacità di polemizzare, di falsificare, di propagandare, di creare un quadro artefatto della realtà. Ma al di là di questo mi piace ripetere che Giuliana Sgrena è una cittadina italiana; compito dello Stato italiano è proteggere i cittadini italiani, ovunque siano e qualunque cosa facciano (posso avere qualche dubbio su italiani che trafficano in armi o sfruttano i bambini o producono mine anti-uomo; però in casi come questi di solito si chiude un occhio e anche tutti e due e una mano ai nostri benemeriti la si dà comunque…non sia mai che si pongano limiti all’industriosità italiana e al libero mercato!). I soldi dei contribuenti servono anche a questo. Credo che urla e strepiti sarebbero più adatti a contestare i costi della nostra missione militare in Iraq. Obbiezione: i soldi del riscatto (per ora presunto) serviranno ad altre azioni illegali. Alimenteranno la guerriglia, potrebbero costare la vita di altri civili e di altri militari, magari anche dei nostri soldati italiani. Vero, vero…ecco una dimostrazione di come ogni azione non valga solo per sé stessa, non sia un unicum nell’universo, abbia sempre delle conseguenze difficilmente immaginabili. Bisognerebbe pensarci prima non solo di pagare un riscatto (come vorrebbe parte della stampa e dell’opinione pubblica nazionale), ma prima di scatenare una guerra e i parteciparvi, nascondendola sotto il finto mantello della “missione di pace”. “Come dice il Vangelo (Matteo, 7, 3-5): “Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello”. Ipocrisia… Ecco un termine per ben definire la posizione di molti rispetto alla vicenda di Giuliana Sgrena.
Roberto Roveda
Roberto Roveda
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