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18/09/2013
IL BENESSERE PSICOLOGICO

Secondo la definizione dell’OMS il benessere psicologico è quello stato nel quale l'individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, adattandosi costruttivamente alle condizioni esterne e ai conflitti interni.
Questa condizione di benessere generale si verifica solamente se, alcune variabili, sono gestite in maniera positiva dal soggetto in questione. Cosa intendiamo per variabili? In questo caso le variabili saranno dei fattori propri, intrinseci di ogni individuo che andranno ad agire sullo stato di benessere complessivo del soggetto. Ovviamente i fattori che agiscono sul nostro benessere sono infiniti, ma in questa sede ci limiteremo ad analizzare quelli che riteniamo avere un peso maggiore sullo stato finale; nello specifico tratteremo:
Ø L’equilibrio psicologico tra vita privata e contesto lavorativo
Ø Motivazione e Automotivazione.
Ø Comprensione e gestione delle emozioni.
Ø Gestione dei conflitti interni.

L’equilibrio psicologico tra vita privata e contesto lavorativo:
Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito all’affermarsi di un’economia della flessibilità in termini spaziali, contrattuali, relazionali. L’introduzione delle nuove tecnologie, la caduta dei tradizionali confini geografici, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della precarietà nel lavoro hanno reso sempre più cruciale per le grandi e piccole organizzazioni il tema del work- life balance (equilibrio vita-lavoro). Per equilibrio vita-lavoro si intende l’insieme di tutte quelle tecniche per la gestione del nostro tempo, con l’obiettivo di ottimizzare l’organizzazione della giornata per dedicarci a ciò che dobbiamo fare senza sentirci oberati di lavoro o stressati.
In questo quadro generale il fattore che in questo specifico periodo salta maggiormente all’occhio è l’instabilità del contesto lavorativo che richiede livelli crescenti di impegno, sia in termini di quantità di lavoro che di coinvolgimento emotivo e cognitivo.
In quest’ottica il titolare di una qualsiasi organizzazione non deve avere come obiettivo quello di staccare dal lavoro ma capire quali sono i problemi personali suoi e dei collaboratori che incidono sul lavoro e che si insidiano anche nella vita privata.
Fermarsi a riflettere sul che cosa ci può rendere davvero felici o almeno sereni è la premessa indispensabile per trovare una soluzione a quell’insoddisfazione di fondo che proviamo nel momento in cui torniamo a casa dal lavoro ma in realtà la nostra mente è ancora là; questo è un problema che può investire chiunque anche se siamo innamorati del nostro lavoro, se siamo stati noi stessi ad avviare un attività ben precisa. Lo stress lavorativo ha un impatto molto importante sulla nostra vita, dobbiamo quindi saper mettere delle barrire tra vita lavorativa e privata, barriere psicologiche e barriere “fisiche”. Il tempo libero dovrebbe essere influenzato il meno possibile dallo stress e per farlo occorre spegnere la nostra parte di cervello legata al lavoro e se necessario spegnere anche il cellulare dedicandoci effettivamente a quello che stiamo facendo. Dobbiamo ricordarci che l’essere sempre connessi può essere un’arma a doppio taglio, se ad esempio decidiamo di prendere qualche giorno di ferie e affidiamo la nostra attività ai dipendenti, cerchiamo di spegnere il telefono, fidarci dei nostri collaboratori e dedicare tempo alla famiglia, sarà un bene per noi e un insegnamento per chi farà le nostre veci nei giorni di assenza.
Come accennato precedentemente i recenti cambiamenti nel mercato del lavoro hanno portato a situazioni di seria instabilità; ad oggi infatti nel mondo del lavoro vengono richieste non solo capacità professionali, ma anche specifiche doti personali. Prima di assumere qualcuno ci si informa su tutta la sua intera esperienza di vita, e sulla sua personalità in generale portando cosi ad un processo di selezione molto differente rispetto al passato. Le nuove forme contrattuali sono a noi tutti note proprio per il fatto di non mettere in una situazione stabile e di equilibrio il lavoratore, sia che si tratti di precarietà oggettiva legata alla situazione contrattuale, sia che si tratti di precarietà soggettiva, dovuta ad una percezione personale e alla paura di perdere il lavoro, la sensazione di non avere sotto mano nulla di certo provoca una forte tensione nel lavoratore. In questo modo vengono messe a rischio diverse variabili psicologiche del lavoratore ed in particolare i processi di costruzione dell’identità professionale, i livelli di soddisfazione della vita nel posto di lavoro ma anche tra le mura domestiche. Non entreremo nel discorso politico del giusto o sbagliato riguardo le nuove forme contrattuali a tempo determinato, in quanto non di nostra competenza, analizzeremo invece alcuni fattori che possono essere influenzati ingenerale da situazioni lavorative precarie.
Cominciamo parlando dello scarso commitment, cioè del poco attaccamento del lavoratore nei confronti dell’azienda in generale e del proprio lavoro in particolare. In questo caso il lavoratore ha difficoltà ad integrarsi nell’ ambiente lavorativo in quanto consapevole di avere un contratto con una scadenza bene precisa e inoltre sa di non essere compreso nei progetti a lungo termine del datore di lavoro; il soggetto non si sentirà mai parte di una “famiglia lavorativa” se viene trattato solamente come una risorsa da sfruttare fino alla scadenza del contratto. Ovviamente non possiamo pretendere che il modo del lavoro cambi dall’oggi al domani solamente perché i contratti a tempo determinato possono avere un effetto negativo sui lavoratori, dobbiamo però cercare di identificare il problema qualora venga a presentarsi e cercare di risolvere al meglio la situazione; vale a dire far si che il lavoratore si senta il più possibile parte dell’organizzazione utilizzando anche strumenti molto semplici come possono essere eventi di gruppo, uscite, cene, e ovviamente chiedendo pareri, opinioni, critiche e riflessioni riguardanti l’azienda in modo da dare peso e valore alla sua presenza.
Il lavoro flessibile può provocare problematiche anche nello sviluppo del sè ed in particolare alla costruzione del sé professionale. Questo vuol dire che nel momento in cui si cerca di riepilogare ciò che un dato lavoro ha dato come gli insegnamenti appresi o lo sviluppo di determinate capacità e qualità, il lavoratore si sente vuoto, come se l’esperienza appena conclusa per lui non fosse contata nulla e non gli avesse dato nessun valore aggiunto da poter sfruttare in altre occasioni. Un lavoratore dovrebbe intraprendere le sue esperienze professionali dando loro una logica e un significato in modo da proiettarle nel futuro delineando un progetto di vita da seguire; naturalmente questo progetto di vita ideale rappresenterebbe per il soggetto solamente una linea guida perché come noi tutti ben sappiamo il mondo di oggi richiede grande flessibilità e spirito di adattamento.
L’altro punto cardine per un buon equilibrio lavorativo è la soddisfazione sul posto di lavoro. La soddisfazione lavorativa è data da quello stato emozionale positivo o negativo che lega l’individuo al lavoro creando sintonia tra attività svolta e valori individuali; ovviamente nel caso in cui il lavoro susciti emozioni negative il benessere psicologico dell’individuo sarà il primo a risentirne.



Motivazione e Automotivazione:
Possiamo dividere i lavoratori in due macro categorie: alla prima appartengono quegli individui che nello svolgere le proprie mansioni si applicano il minimo indispensabile arrivando in ufficio tardi, non rispettando le scadenze o portando a termine un incarico preoccupandosi poco della loro performance cercando invece di tirare avanti con il minimo sforzo. Alla seconda tipologia appartengono invece quegli individui che si applicano in qualunque progetto, dando sempre il massimo; costoro arrivano puntuali, lavorano sodo spesso soffermandosi in ufficio oltre l’orario di lavoro e accolgono con il sorriso i nuovi incarichi anziché lamentarsene. Essendo ambiziosi, sono mossi da una sincera spinta a fare sempre del loro meglio.
Cos’è che rende così diverse queste due tipologie di lavoratori? La risposta è la Motivazione. Per motivazione si intende l’insieme degli scopi che spingono un individuo ad agire e a mettere in atto un comportamento in direzione di obiettivi da raggiungere.
Essere motivati significa essenzialmente svegliarsi ogni mattina con un sorriso, felici di iniziare una nuova giornata lavorativa, significa non sentirsi mai arrivati ed essere sempre alla ricerca di nuovo traguardo allo scopo di migliorare continuamente. Se si ragiona in questo modo il lavoro non è considerato solo una fonte di guadagno ma risponde anche ad un bisogno di autorealizzazione , permettendo una crescita sia sul fronte professionale che si quello personale. La motivazione deve quindi essere considerata un fattore soggettivo, poiché ognuno di noi è motivato da fattori differenti.
Perché lavoriamo? Cosa ci spinge ad alzarci tutte le mattine, fare colazione in fretta e lottare nel traffico per arrivare puntuali, quando potremmo passare la giornata a casa a fare ciò che vogliamo? La risposta che viene automaticamente a chiunque di noi è “per vivere” ma questa è una prospettiva riduttiva. È vero che lavoriamo per mangiare, pagare l’affitto, comprare I Phone o televisori di ultima generazione ma la sopravvivenza è solo una delle ragioni per cui facciamo tutta questa fatica. In realtà lavoriamo per soddisfare molti bisogni, materiali, psicologici ed emotivi e più bisogni riusciamo a soddisfare con il nostro lavoro più saremo soddisfatti e motivati a svolgerlo con impegno. Ovviamente la motivazione è strettamente legata alla passione, se non provo passione per ciò che faccio il mio lavoro sarà un mero mezzo per guadagnarmi da vivere.
Le motivazioni che spingono un individuo ad appassionarsi del proprio lavoro possono essere moltissime ma le più diffuse sono:
Ø La ricerca di specializzazione: alcune persone sono assetate di conoscenza riguardo uno specifico ambito professionale. Essere ritenuto un “esperto in materia” offre l’opportunità di essere ricercati e di poter dispensare consigli; in questo caso la condivisione con gli altri delle proprie conoscenze è determinante per la soddisfazione personale.
Ø Insegnare: questi individui amano condividere le loro conoscenze, sono quindi portati a occuparsi di formazione, utilizzando tutti i mezzi che hanno a disposizione e saranno sicuramente affascinati dal fatto di trovarsi al centro del palcoscenico; per altri invece, può essere molto importante e gratificante insegnare ai “nuovi arrivati”.
Ø Esprimere la propria creatività: esprimere la propria creatività aumenta la passione di chi lavora e chi meglio di un acconciatore può capire questo punto. Essa può essere espressa non solo attraverso la creazione materiale di un nuovo taglio o un nuovo colore ma si possono anche creare nuove strategie che facciano bene alla realtà lavorativa (a livello organizzativo, di marketing, di comunicazione).
Ø Risolvere i Problemi: alcune persone hanno la capacità di gestire problemi che per altri sarebbero insormontabili, questi individui ovviamente saranno soddisfatti nello svolgere attività che consentono loro di applicare tale abilità. Può essere considerata una tipica caratteristica di chi svolge professioni nell’ambito tecnico, in questo caso il soggetto può lavorare ore e ore finché non trova la giusta soluzione ad un problema poiché il desiderio di risolverlo è una passione per lui troppo forte che prescinde dal lavoro in sé.
Ø Aiutare gli altri: per queste persone la gratificazione che deriva dal fornire aiuto è gia un riconoscimento importante e l’essere ringraziati non fa altro che dare maggiore energia a questa passione. Ci sono presone che si dedicano anima e corpo al lavoro solo perché sanno che poi altri ne trarranno vantaggio.
Ø Assumere rischi: alcuni individui sentono la necessita di correre dei rischi per alimentare la loro propensione al lavoro. E’ questo il caso di chi lavora in settori come la borsa, questi soggetti sono infatti in grado di muoversi in ambienti laddove altri sarebbero intimoriti.
In conclusione possiamo definire la motivazione al lavoro un bilancio tra gli aspetti positivi e gli aspetti negativi della propria professione. Ognuno di noi è motivato da fattori differenti ed è importante non stancarsi mai di ricercare e di costruirsi un attività lavorativa che nel complesso risulti più stimolante e ci consenta di esprimere al meglio potenzialità e talento.
Il tempo che dedichiamo al lavoro rappresenta una parte troppo grande della nostra vita per poterci permettere il lusso di fare qualcosa che non ci piace, rimanendo sempre in perenne attesa delle vacanze, del fine settimana o della fine della giornata. Se il bilancio del nostro lavoro non ci piace cerchiamo di modificare le cose che non vanno oppure, soluzione ancora più drastica, cambiare completamente tipologia di lavoro.
Abbiamo fin ora parlato di motivazione spiegando come questa forza ci spinga verso il raggiungimento di determinati obiettivi ma non abbiamo detto che affinché questo si verifichi è necessario che il soggetto percepisca se stesso come persona capace di mettere in atto un dato comportamento, cioè sia Automotivato. L’automotivazione deriva quindi da una percezione di Lauto-efficacia e in assenza di questa, la persona si sentirà inutile e demotivata; il pensiero positivo rivolto verso se stessi è una componente fondamentale dell’automotivazione e può essere inteso come la tendenza a valutare positivamente le proprie capacità rilevanti rispetto ad un area specifica di attività.

Comprensione e gestione delle emozioni:
E’ un argomento a cui non si pensa spesso, ma quanto conta l’emotività sul posto di lavoro? In realtà conta tantissimo, sia nell’ambiente di lavoro sia in tutti gli altri ambienti della nostra vita. Perché nel lavoro non dovremmo provare emozioni? Basti pensare alle situazione più tipiche che si vivono, come ad esempio la paura di un rimprovero per aver sbagliato qualcosa, l’attesa di un risultato, di una promozione o ancora la rabbia nel momento in cui si litiga.
Il posto di lavoro è un luogo pieno di emozioni anche perché occupa gran parte del nostro tempo ma la nostra cultura ha da sempre cercato di eliminare le emozioni dal luogo di lavoro, partendo già dalla scuola, dove ci insegnano che non si deve piangere se si riceve un brutto voto. In occidente si privilegia un approccio molto razionale al lavoro, se si vuole essere efficaci non bisogna dare spazio alle emozioni e manifestarle è percepito come un segno di debolezza; in realtà le cose non dovrebbero andare cosi perché il mondo del lavoro richiede una grande capacità emozionale.
A dimostrazione di quanto detto fin ora possiamo portare alcuni esempi: se un venditore non è entusiasta, non è emotivo, non trasmette una sensazione positiva e di fiducia al cliente non venderà mai nulla. Lo stesso vale per gli acconciatori se non sono in grado di trasmettere emozioni positive sul lavoro l’ambiente ne risentirà e i clienti non si sentiranno a loro agio in un luogo in cui l’atmosfera non è affatto positiva.
L’emozione gioca un ruolo importante nella comunicazione e nei rapporti con gli altri, se fossimo tutti super emotivi non riusciremmo a stabilire nessun tipo di rapporto; le emozioni vanno controllate e gestite in base a chi si ha davanti altrimenti si rischia di rovinare importanti relazioni lavorative. Per gestire al meglio le emozioni è necessario essere consapevoli di ciò che proviamo, conoscere il nostro aspetto emotivo ci prepara ad affrontare le situazioni e i rapporti con gli altri Dobbiamo dare delle regole ai sentimenti, mai sopprimerli o inibirli, abbiamo la capacità straordinaria di interagire con l’ambiente non solo razionalmente ma anche con la nostra parte emotiva, questo è un vantaggio molto importante che dobbiamo cercare sempre di gestire al meglio.
L’abilità nel regolare le emozioni deriva dal carattere e ogni persona ha un modo tutto suo di gestirle. Tuttavia il primo passo da compire per avere una gestione ottimale nell’ambiente di lavoro è per tutti lo stesso, cioè quello di saper accettare le emozioni negative come delusione o rabbia; una volta riconosciuta l’emozione provata è importante decidere in che modo viverla e come utilizzarla a nostro beneficio.

Gestione dei conflitti interni:
Il conflitto viene definito come lo stato di tensione che una persona ha nel momento in cui riscontra bisogni, desideri, impulsi o motivazioni contrastanti.
Nel corso della nostra vita ci saremo chiesti tantissime volte perché le nostre relazioni in famiglia, con gli amici e sul posto di lavoro siano cosi difficili, conflittuali e causino cosi tanti problemi di fiducia nei confronti del prossimo. Questo accade perché il nostro modello di comunicazione risente di molteplici variabili che possono generare tra gli interlocutori delle incomprensioni del tutto naturali e in genere facilmente risolvibili attraverso una accurata gestione del conflitto.
Un conflitto non può essere giudicato in maniera positiva o negativa perché tutto dipende dal modo in cui questo viene gestito, si avranno effetti utili o dannosi che però non saranno mai definibili a priori. Il conflitto è inevitabile, porta con se innovazione e cambiamenti che vanno gestiti fornendo gli strumenti giusti per una risoluzione positiva della vicenda; se ben gestito il conflitto sarà fonte di soddisfazione per il soggetto e porterà sicuramente dei benefici per l’organizzazione in generale.
Di seguito elencheremo alcuni consigli per gestire al meglio una situazione di conflitto:
Ø Metacomunicazione: per ricreare la relazione persa a causa del conflitto è necessario andare oltre i contenuti della comunicazione, lavorando singolarmente su ogni attore coinvolto. Questo vuol dire che cercheremo di capire perché il soggetto ha avuto una determinata reazione, da cosa è stata scatenata, cosa c’è dietro al sua reazione, cosa ha provato emotivamente nel momento in cui si è creata la discussione.
Ø Disarmo unilaterale: la persona in conflitto è una persona “armata” pronta alla guerra in qualsiasi momento, quindi molto suscettibile; di fronte ad una situazione del genere bisogna reagire cercando di far posare le armi e nel caso in cui siamo noi stessi coinvolti nel conflitto dobbiamo “arrenderci per primi” questo non significa dar ragione all’altro ma solamente aprire un dialogo con lui e cercare di farlo ragionare senza essere accecati dalla rabbia o dalla voglia di aver ragione a tutti i costi.
Ø Intervento di una terza persona: in casi complicati è bene ricorrere ad un mediatore che dovrà mantenere una posizione neutrale cercando di far ragionare i soggetti coinvolti sull’accaduto.
Ø Ristrutturazione: è possibile prendere in mano la situazione e decidere di ristrutturare completamente la relazione, implica cioè il famoso concetto del “ricominciare da capo” gettando delle fondamenta solide senza creare ulteriori incomprensioni.
In conclusione dobbiamo sempre ricordare che la discussione può essere un punto di partenza costruttivo per la nascita di nuove idee o per la risoluzione di problemi è bene quindi ascoltare un conflitto e non giudicarlo chiarendo sempre la natura del problema e accettando i nostri sentimenti e le nostre emozioni.


Bibliografia
· La vera chiava è l’equilibrio tra lavoro e vita familiare. Il Sole 24 Ore, www.ilsole24ore.com.
· Chi lavora non fa sesso.L’equilibrio (im)possibile tra lavoro e vita privata. Roberto D’Incau, Brossura, 2011.
· La Motivazione al lavoro. Chiara Svegliado
· Gestire l’emotività sul lavoro. Come comunicare e controllare le emozioni. Francesca Romana Puggelli, Il Sole 24Ore 2005.
· I conflitti in azienda: una rilettura sistemica mirata alle soluzioni. Marco Matera, AIF Learning News, Aprile 2008.
· I conflitti organizzativi. Briganti, Arcane, Roma 2010

Prof. Alessandro Magnanensi e Dott.ssa Federica Luciani